Schiaccia all’uva fragola, vaniglia e sciroppo d’acero

19 Settembre, 2012
Le nostre estati avevano l’odore umido della pietra bagnata del terrazzo dei nonni, la piccola piscina gonfiabile riempita al mattino presto e posta sotto il pergolato carico di tralicci d’uva e noi che, dalle tre del pomeriggio, iniziavamo a fare la spola tra acqua e cucina, fradici ed affamati alla ricerca della merenda che spesso e volentieri consisteva nei Gioppini (e non chiedetemi quale sia il vero nome di quella specie di taralli secchi e insipidi che  vendeva l’alimentari sotto casa della nonna, chissà se esistono ancora…), talmente secchi che solo l’ennesimo tuffo in acqua ti liberava dalla sensazione di averli a metà strada tra la  gola e il posto dove avrebbero dovuto scendere ^^.

Pomeriggi caldi ed afosi tra giugno e luglio, con le scuole oramai concluse, i libri dei compiti delle vacanze sul tavolo e i nostri genitori ancora impegnati con il negozio, tra mobili e cucine, proprio sotto alla casa della nonna.
Per me e mio fratello quelle calde giornate erano una continua scoperta di giochi assurdi che nascevano da niente, case e città costruite con i cartoni di imballaggio dei mobili che stazionavano nel cortile in attesa che il nonno li portasse in discarica, innumerevoli giri a velocità improponibili avanti ed indietro per il lungo cortile, dal portico fino in fondo dove c’era il laboratorio da falegname del nonno e la porticina che conduceva al pollaio. 
Il nonno… il nonno ed il suo orto da scoprire, le carotine da tirar fuori dalla terra umida… e la nonna che ad ogni coccodè della gallina mi diceva di andar a controllare se ci fosse l’uovo. 
E poi la casa… sopravvissuta a 4 figli, con i suoi lunghi corridoi e le tante stanze sempre chiuse che un po’ ci incuriosivano, ma che durante i brevi ma intensi temporali estivi ci spaventavano, buie e fredde sotto le tapparelle abbassate e gli armadi pieni di vecchi abiti che le zie una volta sposate avevano lasciato lì, come muto ricordo di una loro presenza passata, fantasmi appesi in armadi scricchiolanti.
Ricordo estati caldissime e lunghe per l’attesa di fuggire tutti e quattro all’isola d’Elba, la casa dei nonni era sempre affollata da noi nipoti, le cene sul terrazzone tutti assieme….  ricordo un’intera stagione passata a mangiare passato di verdura e uova in gelatina con la giardiniera,  talmente tanta era la verdura che mio nonno riusciva a far crescere nell’oro che l’unico modo per non doverla buttare era fare immensi pentoloni di densa zuppa che poi mia nonna portava in tavola tiepida, con i piccoli crostini di pane raffermo dorati nel burro…
Quella casa ora è lì, chiusa e decadente… i nonni non ci sono più e le voci che l’animavano si perdono fievoli tra i  lunghi corridoi di marmo. L’orto, divenuto una foresta di rovi ed ortiche, è finito con l’inglobare anche l’ampio pollaio sino al punto che solo una rete oramai abbattuta mi indica dove una volta finisse l’uno ed iniziasse l’altro.
Ma l’uva… ricopre ancora in piccola parte quel terrazzo, come a dire che qualcosa resta, che sia un ricordo o un’immagine rievocata dal denso profumo di fragola … la vita scorre, si evolve… ma le radici rimangono ben piantate in quella terra e su di esse si sorregge tutto il nostro futuro.

Questa ricetta è rimasta sospesa nei miei “sogni” ancor prima che nascesse questo blog, quando ancora girovagavo tra Internet affascinata dal mondo che pian piano andavo a scoprire, tra fotografie bellissime e cibo, quando ancora non sapevo se mi affascinasse più la ricetta o l’immagine che la fotografia riusciva a catturare e trasmettere attraverso forme e colori che nascondevano consistenze e sapori.
Poi per anni è finita nella lunga lista delle cose da fare… fino a quando mia zia mi ha ricordato che c’era l’uva matura sul terrazzo dei nonni…
Ingredienti
sono partita da questa ricetta per le dosi di lievito e farina
400g farina 00
1 kg uva fragola
1 cubetto di lievito di birra sciolto in un bicchiere di acqua tiepida
pizzico di sale
5 cucchiai di sciroppo d’acero
un cucchiaino di vaniglia in polvere (non vanillina) o i semini di una stecca di vaniglia
zucchero di canna circa 4-5 cucchiai
zucchero a velo qb
3 cucchiai di olio EVO 
acqua qb
cannella, noce moscata qb
Sciogliere il lievito in un bicchiere di acqua tiepida.
Nella ciotola dell’impastatrice ho versato tutta la farina, un cucchiaino da tè di polvere di vaniglia (prima o poi vi metterò la “ricetta”, si tratta di bacche di vaniglia tagliate a pezzettini e fatte essiccare nell’essiccatore, poi frullate nel minipimer) e tutto il lievito sciolto nell’acqua. 
Aggiungere 5 cucchiai abbondanti di sciroppo d’acero e azionare il gancio impastatore. A questo punto aggiungere il pizzico di sale.
Lavorare aggiungendo acqua quanto basta sino ad ottenere un impasto morbido ed elastico (non appiccicoso), passare poi alla spianatoia facendo un paio di giri di pieghe, formare una palla e far lievitare in una ciotola unta di olio per 1 ora e mezza o due, a seconda della temperatura che avete in casa.
Nel frattempo pulire l’uva… e (ahimè) togliere tutti i semini dagli acini (ecco, vi occorreranno 2 ore giuste), ovviamente se la vostra uva è senza semi o sono piccoli e “masticabili” potete saltare questo passaggio e utilizzare gli acini così come sono, nel mio caso l’uva del nonno era fornita di 3 semini per acino, grossi e duri come pietre… impossibile mangiarne anche solo 2 chicchi interi, figuriamoci addentare un quadrello di schiaccia…
Una volta pulita l’uva, conditela con un pizzico di noce moscata, una bella spolverata di cannella e  4 cucchiai di zucchero di canna.
Passata la lievitazione staccare 2/3 di impasto e su un foglio di carta forno unto di olio stendere la pasta formando un rettangolo di spessore 2-3 mm, trasferire il foglio e l’impasto in una teglia (tipo quelle rettangolari da pizza) e ricoprire con  2/3 di uva, lasciando tutto intorno una cornice di 3 cm. Prendere l’impasto rimasto nella ciotola, stenderlo e ricavarne un rettangolo più piccolo (sempre di 2-3 mm di spessore) ed adagiarlo sopra il primo, schiacciandolo per bene sopra il ripieno e ripiegando all’insù i bordi dello stato inferiore, in modo da sigillare la schiaccia. Versarvi sopra l’uva rimasta, condire con 3 cucchiai abbondanti di olio e spolverizzare un po’ di zucchero a velo.
Infornare a forno statico e preriscaldato a 200°C per circa 40-50 min. 
La schiaccia dovrà dorare in superficie, per far sì che cuocia bene il fondo vi consiglio di infornare la teglia a metà altezza e gli ultimi dieci minuti di cottura spostatela al livello inferiore, se avete un forno come il mio con il programma di cottura solo “dal basso” potete inserirlo negli ultimi 10 minuti.
Sfornare e lasciare intiepidire.
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